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L'ottica sistemica dell'organizzazione (dott. Stefan Eikemann)


L'analisi di un'organizzazione con l'ottica sistemica non si ferma avanti a delle ipotesi parziali oppure delle semplici legami tra causa ed effetto, ansi questa visione permette di mettere insieme più livelli, da partire di livelli esperienziali personali fino a dei livelli di gerarchia, responsabilità, divisione dei ruoli, comunicazione, esperienziali-gruppali e di miti non riconosciuti. Inoltre questo approccio mette insieme tutti livelli e fattori di un funzionamento oppure malfunzionamento di un'organizzazione in modo ricorsivo. La visione circolari dei processi organizzativi permette al consulente di introdurre dei mecanismi che spezzano la rigidità del sistema. Con qualsiasi altra visione l'intervenzione del consulente correrebbe il rischio di rinforzare solo le strutture di difesa del sistema. L'intervento che cerca ad eliminare i punti riconosciuti come 'malato' e non si rende conto del significato di questa 'malatia per il sistema rischia di fare nient'altro che rinforzare i meccanismi 'malati'. Cioè, i meccanismi riparatori sono altamente inefficace o a dirittura nocivo se riflettono su tutti livelli del sistema la funzione della parte malata che stanno per combattere. Si arriva al punto che sono proprio i tentativi di risanamento che irrigidiscono e aggravano la situazione. Ma come si può introdurre cambiamenti senza combattere direttamente i sintomi oppure la parte malfunzionante?

Incapacità di cambiamento come produttrice di malfunzionamento, oppure: cambiare per non cambiare.

La visione del cambiamento per un ottica sistemica è centrale. O meglio, ogni organizzazione ha dei mezzi correttivi. Questi mezzi servono per superare delle difficoltà e per adattarsi a delle nuove esigenze del contesto del sistema. Nello stesso momento però esistono delle regole all'interno del sistema che non possono essere messe in discussione. Secondo la logica del sistema i mezzi correttivi devono seguire una certa logica, o in altre parole devono direttamente affrontare e controbilanciare il problema come viene interpretato dal sistema. Ad esempio in un sistema umano succede che l'atteggiamento di una persona viene interpretato come spendaccione. Il sistema reagisce in vari modi di farlo spendere di meno. Di solito però i malfunzionamenti sono un'espressione di qualcosa più complesso. Regolarmente un sistema arriva a dirittura al punto di dover mettere in discussione le proprie regole di base. Di questo i sistemi umani spesso si sentono minacciato e ne sono ostili. A quel punto un malfunzionamento di una persona o un riparto è nient'altro di un sintomo che nasconde il vero problema molto più grave. Le cure che adotta il sistema devono necessariamento fallire oppure aggravono adirittura di più la situazione. A questo punto il sistema ha principialmente 3 possibilità: o muore, o prima di morire la minaccia della morte costringe le persone di mettere in discussione le convinzioni di base oppure il sistema si affida a una persona da essa considerata competente e le dà lo spazio di intervenire.

Ad esempio un coordinatore che toglie a un suo dirigente dei mezzi di controllo nei confronti dei suoi impiegati, perché loro si sono lamentati ripetutamente dalla sua ogni presenza ed i suoi controlli troppo ossessivi, raramente dà dei risultati soddisfacenti. Perché questo intervento non cambia niente al rapporto dirigente - impiegati, ansi aumenta solo la valenza della tematica già saliente e condiviso da tutto il sistema - sottosistema, cioè, che la produttività dipende dal controllo oppure dalla libertà che hanno gli impiegati. Di solito in questi casi la situazione è ancora più complicata, e solo se ci si chiede: “qual è la funzione di questo comportamento per tutto il sistema e non solo per il riparto specifico?” si può almeno intravedere la complessità della questione. Un intervento efficace non può andare contro le regole del sistema, perché le difese del sistema sono sempre più forte, nello stesso momento non può colludere con delle regole. Da questo punto di vista, qualsiasi intervento ne per ne contro le regole viene vissuto come insignificante o paradossale. Nel esempio suddetto, se uno è arrivato alla conclusione che veramente il mito libertà - controllo ha un ruolo forte nei processi circolare del sistema, si potrebbe suggerire di affiancare il dirigente con tre persone esclusivamente addetti per effettuare i controlli in modo ancora più pignoli.

Nella visione sistemica si parla di due tipi di cambiamento. Watzlawick, Fisch (1974) chiamano cambiamento 1 (cambiamento di primo ordine) tutti cambiamenti parziali nel sistema che tendono a cambiare niente nella logica del sistema. Con altre parole, tutti sistemi conoscono uno stato 'normale' e tendono a controbilanciare qualsiasi movimento o situazione che minaccia la normalità. Ci sono però delle situazione che richiedono un cambiamento di ciò che è considerato 'normale'. Se il sistema non riconosce questo, oppure non vuole o non è in grado di riconoscerlo, i tentativi di mantenimento dello status quo diventono una grande fonte di disfunzione nel sistema che spesso va oltre il problema che il sistema originariamente ha spinto di reagire. O meglio, possono essere proprio i sforzi di tenere stabile il sistema, che fanno ammalare il sistema seriamente. Watzlawick e Fisch dicono che spesso la soluzione è il problema. La vera soluzione, il cambiamento della norma interna, di questi autori viene chiamato cambiamento2 (cambiamento di secondo ordine).

Ma che cosa troppo spesso ci impedisce di cambiare le norme del sistema? La risposta è facile: lo sono i miti, i miti del sistema che spiegono o giustificano le norme. I miti danno la spiegazione perchè il sistema sicuramente si disintegrerà se non si rispettino certe regole (Miermont 1993 S.145) La ricerca con una visione sistemica conosce da molto tempo 'il mito' che spiega le regole. Bateson già 1971 descrive il mito del alcolizzato sensa sviluppare però il concetto. Solo negli anni ottanta il mito diventa un concetto integrativo dell'ottica sistemica. E oggi questo approccio descrive il mito del sistema come una dicotomia di valori (Ugazio 1998). Sono sempre solo pochi argomenti salienti che giustificano le norme in un sistema o un'organizzazione. Nel nostro esempio abbiamo fatto l'ipotesi che fosse la dicotomia controllo-liberta che giustifica la norma. Invece se uno si chiede, quale sono i fattori importanti per mettere le persone in grado di essere produttivi, senza difficoltà ci si può arrivare a mille dichotomie e nessuno sarebbe veramente in grado a metterli in ordine secondo la loro influenza oggettiva sulla produttività. Il loro peso dipende dal loro ruolo nel specifico sistema, se hanno una funzione come mito che giustifica le norme oppure no.